Oggi, come
buon augurio per il 2019, ci poniamo una domanda
alla quale è impossibile dare risposta. Può sembrare paradossale, o
addirittura privo di senso, eppure sapere che domande porsi e come porsele - in
vista di un possibile benessere - è
determinante almeno quanto avere delle risposte esaurienti.
La domanda
parte da un’espressione che – legittimamente – mi viene rivolta quotidianamente
nello studio di psicoterapia: “Non
voglio più stare male!”. Espressione alla quale fa quasi sempre seguito la
domanda: “Che cosa devo fare per non stare più male?”. Ed è evidente che siamo
al cuore della questione: una persona che si rivolge ad uno psicoterapeuta
vuole superare una condizione di sofferenza, disagio, malessere emotivo, e
vuole farlo nel più breve tempo possibile.
Ma come si fa? Da dove si parte? In che
direzione è opportuno, da subito, guardare? È chiaro che siamo di fronte ad una
domanda a cui è impossibile dare risposta: si tratta della “domanda delle
domande” che l’uomo da sempre si pone. È come chiedersi, come abbiamo fatto in
un precedente intervento: “Come si fa ad essere felici?”. Ma – ripetiamo –
prima di pensare ad una risposta (ognuno alla sua…) dobbiamo chiederci come si fa a maneggiare una domanda di tale
portata.
Proviamo a
dare qui qualche indicazione molto generica che però, forse, permette di evitare
che si perda tempo ad inseguire false chimere o ad ingaggiare pericolose
“guerre civili” con sé stessi. Partiamo da una citazione di Vittorio Guidano,
uno dei padri della psicoterapia contemporanea: “I pensieri cambiano i pensieri, solo le emozioni cambiano le emozioni”.
È la conclusione a cui Guidano è giunto sulla scorta di una profonda ricerca teorica
e di oltre trent’anni di psicoterapia. Questa citazione, molto diretta, ci
indica anzitutto la via che non dobbiamo prendere perché non darà nessun
effetto. Sintetizziamola in questi termini: il tentativo di modificare i propri
stati emotivi con opere di auto-convincimento o persuasione (i “pensieri”) ha
scarse possibilità di riuscita. Sapere che l’aereo è in assoluto il mezzo più
sicuro, per fare un esempio, non aiuta a superare l’ansia di prenderlo.
Dobbiamo
lavorare su ciò che proviamo emotivamente - ci suggerisce Guidano - Ma anche gli stati emotivi non si possono
auto-indurre. Per quanto io lo voglia, non posso farmi passare la paura di
prendere l’aereo, né posso far emergere in me uno stato di felicità
semplicemente imponendomelo. Non funziona. Il paradosso della psicologia, nella
sua pratica clinica, è che non ha il potere di intervenire direttamente su ciò
che è l’oggetto del proprio stesso intervento. La psicologia, e la psicoterapia
in particolare, si occupano anzitutto di stati emotivi, ma su di essi non hanno
un potere diretto.
Su che
cosa ha senso, dunque, iniziare a lavorare di fronte ad un disagio emotivo?
Direi, anzitutto, sulle condizioni che
ne determinano l’insorgenza, sul contesto. Qualsiasi stato emotivo ha
un’origine, per quanto sia difficile rintracciarla e portarla allo scoperto. Un’origine che nasce nell’attualità della
propria vita intersecata al proprio modo d’essere. In questo complesso e
articolato intreccio una sofferenza o un sintomo sono l’indizio del fatto che l’attualità che ci troviamo a vivere ha
toccato un nostro tema, una linea di frattura, una difficoltà. Ed è lì che
dobbiamo andare ad indagare, lavorando – laddove possibile – su entrambi i
fronti: le condizioni dell’attualità che ci fanno stare male e, soprattutto,
sulla nostra personalissima difficoltà a
fronteggiare quelle stesse difficoltà. Senza paura e con tutta la calma di
cui siamo capaci.
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