In questo nostro appuntamento
torniamo su un tema che abbiamo già affrontato, la capacità di introspezione e il meccanismo dell’autoinganno, nel
tentativo di osservare la relazione che intercorre tra autenticità (con sé e
con gli altri) e benessere. Si tratta di
un aspetto spesso sottovalutato, nella misura in cui è difficile da far
emergere, ma attorno al quale si gioca una partita importante relativamente al
benessere personale.
Come già abbiamo avuto modo di
dire, comprendere quello che ci muove (ossia ciò che proviamo) è un aspetto
fondamentale nella costruzione del proprio benessere anche, o forse
soprattutto, laddove si debbano affrontare situazioni e vissuti spiacevoli,
paurosi o dolorosi. Ma se è fondamentale
sapere da dove veniamo, altrettanto importante è intravedere dove vogliamo
andare. E’ come se dovessimo avere quattro occhi perennemente in azione,
due orientati al passato, per capire chi siamo e portare sempre con noi la
storia da cui proveniamo, e due rivolti al futuro, per trovare la forza di dare
un senso alla nostra vita in rapporto a ciò che ci può realizzare come
individui immersi in una collettività. Si tratta, in realtà, di aspetti
indistricabilmente intrecciati tra loro, poiché ciò verso cui siamo orientati è
inevitabilmente il prodotto della nostra storia, ma che separiamo per un
istante in questa nostra trattazione solo per osservare meglio come questi
fattori operano in noi.
L’aver chiaro ciò che ci muove “autenticamente”,
in profondità, è fondamentale per non cadere vittime di tranelli che tendiamo a noi stessi nel tentativo di evitare ciò che
ci fa paura preservando, al contempo, la nostra autostima. Spesso di fronte a
un traguardo che comporta fatica, difficoltà, rischi, e che quindi ci fa paura,
ci “raccontiamo” che non ci interessa e riusciamo così, con un’abile mossa, ad
ottenere un duplice effetto: evitare sia il rischio del fallimento (nel caso in
cui non riuscissimo a raggiungere l’obiettivo che ci eravamo dati) sia
l’umiliazione della fuga (nel caso in cui ammettessimo di rinunciare alla sfida
per paura). Ma - come abbiamo osservato in altri interventi - tutto ciò che non affrontiamo ci “insegue”
anche per lunghi tratti di vita. E spesso emerge proprio nel momento in cui
non c’è più la possibilità di affrontarlo.
Mi capita spesso, in
psicoterapia, di incontrare pazienti che si trovano a dover fare i conti con scelte mai compiute, sfide mai affrontate, rischi
e possibilità di cui non hanno avuto il coraggio di farsi carico nel
momento in cui sarebbe stato opportuno farlo. Mi viene in mente in particolare
la storia di una donna che ho seguito qualche anno fa. Nel momento in cui è
andata in menopausa è caduta in una grave forma depressiva. Pensava, in prima
battuta, che fossero gli effetti dello sbalzo ormonale che quel passaggio
“biologico” inevitabilmente porta con sé. Ma siccome passavano i mesi e le sue
condizioni non miglioravano, si è rivolta a me. E’ così che, affrontando ciò
che quel passaggio epocale (la
menopausa) ha rappresentato per lei, è emersa tutta la delusione, la rabbia, il
rammarico, l’impotenza, il risentimento verso se stessa e verso suo marito per
quella maternità che, in fondo in fondo, avrebbe voluto ma che non ha mai avuto
il coraggio di “porre a tema”. Non si era mai chiesta, con la forza e la
determinazione che una domanda di tale portata richiede, se avesse voluto
diventare mamma, e così sono passati gli anni e le stagioni della vita, fino a
che quella domanda non ha più avuto la possibilità di essere espressa, perché
sono scaduti i tempi biologici. Ed in quel momento, paradossalmente, è
diventata chiara la risposta ad una domanda mai posta.
A quel punto è come se questa
signora avesse dovuto elaborare un lutto per una perdita mai avvenuta nella
realtà dei fatti, ma drammaticamente presente nel suo vissuto: la perdita di
chi si rende conto di essersi lasciato scappare un’opportunità solo nel momento in cui
quell’opportunità non c’è più stata.
E’ per questo motivo che le
domande, tutte le domande, vanno sempre trattate con estremo rispetto e
attenzione: sono più importanti delle risposte, ma sono pericolose nella misura
in cui ci mettono di fronte alle nostre fragilità.
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