Oggi ci
concediamo una piccola digressione rispetto al percorso che stiamo conducendo
ormai da più di due anni sul portale che gentilmente ci ospita. L’occasione è una
breve poesia, inviatami da un caro amico e oggi molto diffusa grazie ai social,
che esemplifica con estrema vividezza un aspetto che abbiamo sempre,
indirettamente, toccato, ma sul quale non ci siamo mai soffermati in modo
esplicito. Si tratta della forza delle
parole che usiamo per relazionarci con noi stessi e con gli altri, e della potenza del “senso” attraverso cui ci
orientiamo in tutto ciò che facciamo. Le
parole, infatti, ci accompagnano e offrono una cornice a tutta la nostra vita.
Per questo, come spesso osserviamo negli interventi che conduciamo in questo
percorso, è opportuno averne cura,
proprio come se fossero parte di noi e, in qualche misura, della nostra
identità.
La breve
composizione che segue, il cui autore è Mario
de Andrade, musicologo e poeta di San Paolo del Brasile vissuto nella prima
metà del Novecento, mi sembra estremamente incisiva in questo senso. È,
infatti, un’esortazione ad andare all’essenza
delle cose e, contemporaneamente, un’ostentazione della potenza della
parola, delle emozioni che può suscitare e di come può orientare la vita
stessa. Si tratta di un aspetto su cui ci si sofferma raramente, ma che, nel
benessere psichico, è importante come l’aria che respiriamo o il cibo di cui ci
nutriamo: circondiamoci di parole
profonde, che abbiano senso per noi e che ci accompagnino nella nostra
vita. Il benessere si inscrive anche qui:
nelle parole che ci accompagnano e di cui ci facciamo accompagnare,
tracciate da benevoli compagni di avventura (poeti, narratori, filosofi,
saggisti), che, senza saperlo, parlano di noi e grazie ai quali troviamo parole
attraverso cui dare nome ai nostri stessi vissuti.
Usiamo,
qui, la testimonianza di Mario de Andrade, ma avremmo potuto usare quella di
qualsiasi altro poeta, scrittore o “interprete” della vita. Ognuno riempia questa casella con l’autore,
o gli autori, che più sente vicino e con le parole in cui più si riconosce.
Purchè questa casella non rimanga vuota.
LA MIA ANIMA HA FRETTA
Ho contato
i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere
da qui in
poi rispetto a quello che ho vissuto fino ad ora.
Mi sento
come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci:
i primi li
ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi
ha
cominciato a gustarli intensamente.
Non ho più
tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi
statuti,
regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà
raggiunto.
Non ho più
tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica,
non sono
cresciute.
Il mio
tempo è troppo breve: voglio l’essenza, la mia anima ha fretta.
Non ho più
molti dolci nel pacchetto.
Voglio
vivere accanto a persone umane, molto umane,
che
sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi
e che si
assumano le proprie responsabilità.
Così si
difende la dignità umana e si va verso la verità e onestà
È
l’essenziale che fa valer la pena di vivere.
Voglio
circondarmi da persone che sanno come toccare i cuori,
di
persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con
tocchi soavi dell’anima.
Sì, sono
di fretta, ho fretta di vivere con l’intensità che solo la maturità sa
dare.
Non
intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti.
Sono
sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora.
Il mio
obiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto
e in pace
con i miei cari e la mia coscienza.
Abbiamo
due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai solo una.
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