Ci concentriamo oggi su alcuni “tranelli” in cui mi capita spesso di
imbattermi, soprattutto nella terapia di coppia, ma non solo. Si tratta di
espressioni, indicazioni, “frasi fatte”
che sembrano, in prima battuta, assolutamente giuste e condivisibili, ma che
nascondono pericolose insidie e complicano, in realtà, la possibilità di fare
chiarezza e trovare un terreno comune di dialogo.
Tante di queste frasi fatte hanno
a che fare soprattutto con nozioni molto familiari al senso comune: su tutte quella
di “stare bene” e di “amore”. Proviamo ad analizzarne
qualcuna più da vicino per osservare meglio che cosa non funziona. Partiamo
dall’idea di amore, centrale tanto in un rapporto di coppia quanto nell’autostima
personale (l’amore di sé). Tra le frasi che più frequentemente mi vengono
riportate figurano, ad esempio, le seguenti: “Se mia moglie mi ama veramente, tutto ciò che fa star bene me deve far
star bene anche lei”; oppure “Devo
amarmi di più e quindi imparare a fare solo quello che mi fa stare bene”.
In prima battuta sembrano frasi
sensate, forse solo un po’ esagerate, ma se ci avviciniamo al loro senso più
profondo nascondono pericolosi tranelli. Iniziamo dalla prima frase, riferibile
ad un rapporto di coppia. È chiaro che, in un rapporto d’amore la felicità dell’uno è, in qualche misura,
la felicità dell’altro. Ma questo è vero non in senso assoluto, bensì in
una dialettica a due, in una
condivisione di coppia dove entrambi i partecipanti sono artefici di una
progettazione comune, anche laddove non si è perfettamente allineati.
Faccio un esempio, per farmi
intendere: se Antonio è un appassionato motociclista e desidera trascorrere le
proprie vacanze con altri amici motociclisti senza la famiglia, non può
aspettarsi che sua moglie ne sia contenta semplicemente perché è contento lui.
Ne sarà magari amareggiata o delusa o arrabbiata (anche se lo ama alla follia),
nella misura in cui preferirebbe trascorrere del tempo insieme.
Ciò che è determinante è il modo in cui si operano le scelte, oltre al
loro contenuto. Quella vacanza senza famiglia potrebbe non rappresentare un
problema se la scelta venisse condotta in coppia, ossia fosse l’esito di un
confronto in cui si spiegano nei dettagli le rispettive prospettive e si giunge
ad un punto comune. Attraverso un passaggio di questo tipo è più facile
mettersi l’uno nei panni dell’altro e partecipare dell’altrui gioia, felicità,
soddisfazione, anche se ha qualche “costo” individuale e per la coppia. È un punto d’accordo che deve essere
raggiunto insieme e non si può dare per scontato.
Ancor più insidiosa è
l’indicazione per cui amare sé stessi significa fare solo ciò che fa stare
bene. Collocarsi in un orizzonte di questo tipo vuol dire tenersi lontano da
tutte le difficoltà, frustrazioni, conflitti di cui è (purtroppo) colma
qualsiasi storia di vita. Non a caso Karl Popper, uno dei maggiori filosofi del
Novecento, ha intitolato il suo libro divulgativo di maggior successo “Tutta la
vita è risolvere problemi”. Fare solo
ciò che ci fa stare bene vuol dire non affrontare nulla e ritrovarsi prima
o poi immersi in tutto ciò che è stato bypassato.
Potremmo dunque parafrasare
quell’indicazione in quest’altro modo: volersi
bene significa imparare a dedicarsi a ciò che ha senso per sé (e non solo a ciò
che produce piacere). Studiare per laurearsi è faticoso ma può avere senso
in rapporto al lavoro che si vuole svolgere in futuro, rinunciare ad una
vacanza può essere frustrante ma può avere senso in vista di una scelta importante
che comporta qualche sacrificio.
È il senso che diamo e che
riusciamo a dare a ciò che facciamo il principale ago della bilancia del nostro
benessere, anche laddove le nostre scelte non producano un piacere immediato. Una vita che ha avuto senso per chi l’ha
condotta sarà “felice” anche se può essere stata faticosa, burrascosa,
conflittuale, solitaria, e persino dolorosa.
Commenti
Posta un commento