Fine giugno, tempo di esami: le
prove di scuola media, la maturità… “Gli
esami non finiscono mai” – è il titolo dell’ultima commedia scritta da
Eduardo De Filippo. Ed in effetti è così: gli esami non finiscono mai, e i
primi esami, quelli attraverso cui si iniziano a muovere i passi decisivi verso
l’età adulta, sono proprio quelli scolastici: l’esame di terza media e la
maturità. Si tratta di prove molto diverse tra loro, in rapporto alle
differenti età in cui ci si trova ad affrontarle, ma accomunate dall’identica
natura: è in gioco un giudizio sulle
proprie capacità e competenze acquisite.
E con il giudizio entrano
inevitabilmente in gioco componenti emotive molto forti. Su tutte la paura: paura di fallire, di non essere all’altezza,
di deludere le aspettative delle persone più care. Ma anche paura di non
reggere la propria stessa paura, ossia di andare in cortocircuito, di
bloccarsi, di non riuscire nemmeno ad esprimersi, e quindi di deludere anche sé
stessi, oltre che gli altri, e di dover
rivedere la propria immagine di sé, che sta pian piano, faticosamente,
prendendo corpo. Insomma, gli esami sono un banco di prova - è inutile negarlo.
Sono uno spazio istituzionalmente concepito e socialmente predisposto per
esprimere un giudizio su chi si troverà a sostenere quell’esame.
È quindi comprensibile che
facciano paura e il primo errore da
evitare, nel cercare di dare forza a chi è in procinto di sostenere una
prova, è quello di delegittimare e non
riconoscere ciò che il ragazzino o l’adolescente sperimenta. Fanno paura
gli esami, le prove, di qualsiasi natura essi siano: dal sostenere una
conferenza pubblica al diventare padre, dal cambiare lavoro a sposarsi, dal
decidere di rompere una relazione a tirare il classico calcio di rigore. Tutto ciò che comporta la possibilità di un
fallimento, piccolo o grande che sia, e apre il varco al giudizio (proprio
o altrui) fa paura. E, come dice
Eduardo, “gli esami non finiscono mai”.
Quindi riconosciamola, anzitutto, la paura dei nostri figli alle prese con
gli esami scolastici, e legittimiamola:
ci sta e anche noi l’abbiamo sperimentata, a nostro tempo. Dopodiché possiamo
star loro vicini nell’osservare che le
paure, dopo averle riconosciute, si possono affrontare e superare. Ognuno a
suo modo, con le proprie difficoltà, inciampi, balbettii, titubanze,
insicurezze, ma si possono superare. Ed è questa consapevolezza e padronanza
emotiva a trasmettere forza. Una sicurezza che deve venire anzitutto dai
genitori e passa ai figli senza grandi spiegazioni, ma per semplice empatia.
Detto in altri termini, devono essere anzitutto i genitori a non
spaventarsi di fronte alla paura dei propri figli e a riconoscerne la
legittimità. È sicuramente questo il passaggio più difficile: essere in
grado, da genitori, di non aver paura di fronte alle difficoltà (e alle paure)
dei figli: accoglierle senza ingaggiare guerre, dopodiché padroneggiarle
indicando indirettamente con la propria postura e sicurezza la possibilità del
loro superamento. La paura del genitore nel vedere il proprio figlio in difficoltà è
sicuramente l’amplificatore più potente delle insicurezze del figlio stesso.
Spesso, dietro le paure angoscianti dei nostri figli ci sono le nostre stesse
paure, non ancora, del tutto, affrontate, o solo in parte superate.
Infine non dimentichiamo mai
(genitori, figli, insegnanti, esaminatori ed esaminandi) che l’esame è la parte di gran lunga meno importante di qualsiasi
percorso e processo educativo. Da Platone in poi, ossia da che tutti noi,
come collettività storica e culturale, siamo diventati uomini, è chiaro che non c’è trasmissione di conoscenza senza
amore, e che lo stare insieme imparando è già un atto d’amore condiviso in
vista di una crescita personale e collettiva. Un bambino che affronta l’esame
di terza media avrà tutta la vita davanti per imparare a memoria le capitale
europee o risolvere le disequazioni; allo stesso modo un adolescente al termine
del suo percorso di scuola superiore avrà tutto il tempo che vuole per ripassare
gli studi di funzione o le poesie di Catullo, se mai gli dovessero essere
utili. Ma se non gli avremo trasmesso il
piacere di conoscere e un modello di correttezza, giustizia e condivisione da
portare sempre con sé avremo procurato una perdita incommensurabile a lui e a
tutti noi.
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