In questi giorni sta facendo
discutere la ricerca pubblicata dalla rivista International Psychogeriatrics
sui tratti del carattere che allungano
la vita. Dedichiamo quindi anche la nostra rubrica a questo aspetto.
L’interesse che lo studio sta suscitando (al punto che anche il Corriere della
Sera e altri quotidiani e riviste ad ampia diffusione vi hanno dedicato spazio)
è legato al fatto che il focus è concentrato sugli aspetti psicologici, più che fisici, della longevità. Ci dice - in
parole povere – qual è la disposizione emotiva che dobbiamo assumere nei
confronti della vita per aver salva la salute.
Le indicazioni circa le buone
abitudini comportamentali da tenere sono ormai di dominio comune: fare
regolare attività fisica, controllare l’alimentazione, arricchendola di
proteine vegetali, fibre e pesce a scapito di grassi e carni rosse, dormire
possibilmente otto ore per notte, evitare assolutamente il fumo e assumere con
moderazione alcool. Questo è ciò a cui ognuno di noi dovrebbe prestare
attenzione da un punto di vista “fisico” per avere una vita lunga e in salute.
Ma la psiche? Ci sono indicazioni scientifiche circa il modo
“migliore” di affrontare la vita? E’ proprio ciò che lo studio
dell’International Psychogeriatrics si chiede nell’indagine condotta su 29
ultranovantenni che vivono in nove piccoli paesi del Cilento. Ciò che emerge
come dato trasversale a quasi tutti gli intervistati lo si può riassumere in
due aspetti: il legame con le proprie
tradizioni (e soprattutto, nel loro caso, con la terra), e un tessuto di relazioni affettive forte
e stabile. Ossia, ciò che mantiene in salute sono anzitutto le relazioni,
intese sia in senso personale, come vicinanza alle persone care, sia in senso
sociale e culturale, come appartenenza ad una storia, ad una provenienza
collettiva.
Tutto ciò è estremamente coerente con altre indagini della stessa natura
condotte soprattutto negli ultimi vent’anni. Da questi studi sono arrivate
preziose indicazioni sull’“elisir di lunga vita psicologico”. Si è rilevato, ad
esempio, che avere una condotta di vita aperta agli altri e generosa migliora
la qualità della vita stessa, così come fare volontariato e coltivare amicizie
significative. Un effetto analogo, anche se meno forte, lo produce anche il
dedicare cure e attenzioni ad un animale domestico o alle piante, così come è
stato statisticamente dimostrato che vivere un matrimonio felice ed avere figli
allunga la vita.
Altre ricerche, infine, sottolineano
il ruolo del “pensare positivo” nel produrre benessere. Ma questo dato lo
mettiamo in second’ordine nella misura in cui il “pensare positivo”, in larga
parte, non si può dare per scelta ma è l’effetto di una vita felice, o
quantomeno soddisfacente. Ha forse più senso, invece, osservare su quale
aspetto tutti i fattori citati nelle ricerche contemporanee agiscono.
Io lo esprimerei nei seguenti
termini, in linea con le conclusioni che anche gli autori della ricerca hanno
abbozzato: tutti gli aspetti che
rappresentano fattori psicologici di longevità hanno a che fare con il senso
che la vita assume. Prendersi cura di sé stessi e degli altri, o del
proprio ambiente, coltivare le relazioni, far crescere gli affetti è
determinante nel dare un senso alla propria vita, ed è forse questo il fattore
che più di ogni altro rappresenta un ancoraggio determinante alla vita stessa,
e quindi ne allunga la durata.
Vivere bene vuol dire anzitutto dare un senso alla propria vita,
offrirle una forza propulsiva che permetterà poi di affrontare e superare tutte
le prove di cui qualsiasi vita, inevitabilmente, sarà attraversata.
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