Nello scorso intervento abbiamo
soffermato la nostra attenzione sull’importanza di analizzare in profondità ciò che ci muove nelle nostre scelte e
decisioni. L’autoinganno, infatti, ci aspetta sempre al varco laddove
entrano in gioco le nostre paure e spesso interviene cambiando le carte in
tavola per preservare la nostra autostima quando la rinuncia ad un obiettivo
sarebbe troppo difficile e “pesante” da ammettere.
Questo è l’aspetto più frequente
e più potente del modo in cui tutti noi
fatichiamo ad essere chiari con noi stessi, ma non è l’unico. Come
osservava già Vittorio Guidano, padre della Psicoterapia Post-razionalista,
l’autoinganno è sempre all’opera nel determinare l’interpretazione di ciò che
ci accade e nell’orientare le scelte che compiamo. E non solo come difesa dalla
paura, ma più ingenerale come modo di porci rispetto a ciò che ci accade. E’
come se fosse parte della lettura che diamo del mondo, una sorta di lente attraverso cui “filtriamo” gli eventi
per darcene una versione più coerente con i nostri temi di vita.
In quest’ottica, se la paura è
uno dei motori principali dell’autoinganno, il secondo, in ordine di importanza,
potenza e frequenza, è il bisogno di
sentirsi accettati e accolti dagli altri. Fin dalle prime esperienze
dell’infanzia, per ogni bambino è fondamentale riuscire a intrecciare una
relazione con i suoi interlocutori, soprattutto il padre e la madre. Dalla
qualità di queste relazioni e dal tipo di esperienze cui il bambino sarà esposto
inizieranno a prendere forma in lui alcuni “temi di vita” che lo orienteranno nel
mondo anche nell’età adulta.
Il sentirsi accettati – come
dicevamo – è uno dei più importanti nella misura in cui l’uomo, per sua natura,
è un essere sociale, relazionale e non può vivere senza i suoi simili. Ecco
allora che, laddove nelle prime fasi dello sviluppo il bisogno di socialità e
di riconoscimento reciproco non sia stato completamente soddisfatto, questo
tema può diventare una “chiave di lettura” dell’esperienza individuale,
rispetto al quale si strutturano diverse strategie.
Una, che ben conosciamo, è la fuga dai contesti sociali che possono
comportare un giudizio. Togliersi dalla possibile esposizione agli altri è la
strategia più semplice e diretta per evitare il rischio di non sentirsi
accettati. E’ quella che, in termini tecnici, si definisce “fobia sociale”. Un’altra,
altrettanto efficace, è l’accondiscendenza:
compiacere a oltranza i propri interlocutori per “guadagnarsi” il
riconoscimento degli altri. E’ come se l’appartenenza al gruppo dovesse essere
“meritata” con comportamenti che non inneschino conflitti, che facciano sentire
a proprio agio gli altri, anche a scapito di quello che si prova e si vuole in
profondità. Accondiscendenza, quindi, come origine e fine dei comportamenti. Un’altra
forma, tra le più importanti in senso clinico, in cui il bisogno di essere
accettati si manifesta, è poi il narcisismo:
una sorta di smisurato accrescimento dell’ego che, ancora una volta, pone il
soggetto in una condizione di diseguaglianza e disparità con i propri
interlocutori. E’ come se il narcisista si collocasse a una distanza protettiva,
che lo tuteli da un’apertura alla relazione ed una profonda messa in gioco
della persona.
Su tutto ciò - ed è il punto su
cui stiamo concentrando l’attenzione, al di là degli specifici “temi di vita” -
interviene la coltre bianca
dell’autoinganno. Quasi senza
accorgercene, con infinite giustificazioni, spiegazioni, spostamenti di ciò che
è profondamente in gioco, depistiamo noi stessi dal capire che cosa ci muove.
E’ così che, pur in un apparente movimento, nulla cambia: alla fine il movente ultimo dei comportamenti rimane nascosto, e
finché non viene svelato - come si fa ad esempio in un percorso di
psicoterapia - non può neppure essere
affrontato.
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